martedì 19 gennaio 2010

' ... scrivere: cercare meticolosamente di trattenere qualcosa, di far sopravvivere qualcosa: strappare qualche briciola precisa al vuoto che si scava, lasciare da qualche parte un solco, una traccia, un marchio, qualche segno. ...'

Georges Perec, Specie di Spazi

venerdì 15 gennaio 2010

spazio. sostantivo singolare maschile

spazi: entità indefinite e illimitate, all'interno delle quali sono situate e si muovono i corpi, che alla percezione comune risultano tridimensionali, e stesi in larghezza, lunghezza e profondità, indipendemente dal tempo.

nomade. aggettivo

popolo o tribù che non hanno dimora stabile.

lunedì 4 gennaio 2010


'... und alles, was man weis, nicht blos rauschen und brausen gehort hat,
last sich in drei Worten sagen ...'

'... tutto ciò che sappiamo e non si è semplicemente sentito frusciare e mormorare,
si lascia dire in tre parole...'

LW TLF (KURNBERGER)

giovedì 1 ottobre 2009


cittàregione

‘… penso che il possesso debba valere soltanto per lo spazio privato ,
intimate purely home.
la differenza tra una città di provincia e la città con la capital C,
è che la seconda deve liberarsi dell’eccesso di passione dei propri abitanti,
per diventare patrimonio degli sguardi degli altri. …’

torino vista dalla luna. Domus / febbraio 2006



Il tempo lo spazio.

“… I luoghi e le città, gli occhi e le anime esistono e non esistono, protetti nel loro brutale chiuso infinito. Pensare di poterli penetrare, è uno dei più struggenti sogni del mondo, una delle più deliranti e malinconiche vanità. ( … )
Ciò che entra negli occhi è sovreccedenza, interminabile elaborazione, innamoramento ed estasi, noia, resa. L’anima cerca un lenimento, gli occhi si chiudono, ma nascono i sogni, e tutto ritorna senza respiro. Gli occhi si riaprono e tutto esiste, tutto è esistito, evanescenza, desiderio senza limite (…) Dato che siamo nati ciechi e già perduti, dato che siamo un vuoto senza pace un vuoto che non sarà mai riempito, il nostro destino è quello di cercare, errare, accettare la cicatrice della nostra condizione, il viaggio.
I luoghi sono senza anima, è la nostra anima che li rende vivi, infiniti.…”

Roberto Faben, ‘Tredici Città’




Così, come se abitassimo all’interno di una condizione destinale, ci muoviamo entro un territorio, in uno spazio.
Lo osserviamo, ne attraversiamo le città, i luoghi e gli agglomerati urbani, viaggiamo oltre, entriamo nelle sue parti a forte dispersione insediativa; aggrappate a pendici incontreremo case remote che sembrano gridare la loro storia, e tutto ci apparirà come un vagare non nello spazio, ma entro un tempo, presente e insieme anteriore che questa straordinaria orografia ha sembrato prima promettere e poi preservare; ne risaliremo gli scavati sistemi vallivi e le piattaforme fluviali, nell’improvviso apparire di catene montuose che ad un primo sguardo accosteremo al dividere, riconosceremo punti privilegiati per l’osservazione non tanto dei caratteri del paesaggio costruito e antropizzato, quanto forse, delle diverse anime che lo hanno primitivamente abitato, per poi iniziare, da lì, una sorta di allucinata erranza verso la costa; e poi di nuovo, oltre quelle alture, pianure lacustri prosciugate e bonificate, metafisici altipiani, riserve naturali, parchi, corsi d’acqua, e terre incolte, campi coltivati, insediamenti e case, ex fabbriche divenute straordinari monumenti di un passato troppo prossimo; ed altro, e di nuovo altro ancora.

Arriveremo al mare, lì dove la terra vi si nasconde alla vista cercando un lenimento al nostro continuo consumo del suo suolo, a quell’incessante lavorio, e dove, alcune macchine per la pesca costruite nella indecisione liminare tra terra e acqua, indicano e rimandano un possibile carattere di questa gente, sospesa, come in un esercizio di equilibrismo, tra più modi di stare al mondo; e nella memoria di questa indecisione, una storia deigiorni, del lavoro e di una manualità che nella sua riproposizione si tramanda, affrancandosi da ogni possibile eroismo, nel continuo rimando tra i saperi della terra in quelli del mare e viceversa.
Qui il Mare, nonostante sia già Mediterraneo, sembra esserne solamente indicazione geografica.

E questo é, ora, in ciò che abbiamo veduto e ricordato, tutto quello che indicheremo come la costruzione della vita quotidiana, il suo mostrarsi al mondo, il suo esserci.
Ci designeremo come ‘appartenenti’ e ‘abitanti’ dei luoghi attraversati anche senza risiedervi, saremo testimoni della scomparsa di una condizione classica prima, della rimessa in discussione di percezione ed esperienza del tempo e dello spazio dopo, così da farci partecipi di ciò che riconosceremo come l’apparire improvviso di una nostra volontà di cittadinanza, il suo sostanziarsi in una sorta di nessun luogo, dove una ampia compagine umana decide di risiedere, di confrontarsi, di divenire sapere, pensiero condiviso.
Da qui, da questo necessario indagare, ora che la contemporaneità ci chiede altri approcci esperenziali e indica nuovi riferimenti, ed il linguaggio così come le parole, attraversando una indecisione, sembrano appartenere sempre meno alle cose che dovrebbero designare, ora che noi abitiamo infiniti Jetzeit, infiniti Tempi Attimo, non abbiamo più bisogno di delimitazioni che la statualità di una città sembra imporre rivendicando una impossibile apprtenenza, così come, la percezione che dovremo avere di questa maturerà verso qualcosa di diverso, che riesca ad essere nel proprio presente, nel suo esserci.
Improvvisamente riconosceremo che questo ‘ora’ , è semplicemente un tempo altro, ed al centro di questo tempo e in questo altro, ci siamo noi, ‘soggettività condivise ‘(1) , nella solitudine e nella bellezza offertaci, nelle sue infinite possibilità che sembra prometterci, nell’essere contemporaneamente qui ed in ogni luogo, nell’invitarci ad un viaggio che nella conoscenza e nella condivisione, nel riconoscimento dell’altro come ennesima riproposizione dell’io o di un me medesimo cresciuto entro una storia differente, nell’ebbrezza di un tempo veloce, così come, nel perseguimento della lentezza ha i suoi punti certi; tutto questo indicheremo come una fascinazione da costruire; ancora una volta, per questo, ci predisporremo all’indicazione ed all’inseguimento del narratore che Peter Handke fa parlare in ‘Nei colori del giorno’ e insieme rivendicheremo che “… anche uno come Goethe avrebbe dovuto invidiarmi (ci), perché io (noi) vivevo (amo) ora, alla fine del XX° secolo. …”.
E’ il nostro presente che qui ci parla, e di questo dovremo occuparci, entrare attraverso ciò che potremmo chiamare come emblematiche del nostro tempo nel cuore di questioni che assumono rilevanza di fatti, cercando una ragione della velocità di consunzione delle cose e della perentorietà della esperienza quotidiana che quasi, non lascia spazio alla interpretazione, ed all’interno di questa trovare quei caratteri che potremo definire fondativi. Ci concederemo così, ancora un errare a ritroso prima di cercare nella città regione luogo per eccellenza della nostra contemporaneità, una strumentazione intellettuale, una legittimazione al nostro discorso.
Misureremo la distanza che ci separa da straordinarie narrazioni, come quella fatta nel 1952 da Henry Cartier Bresson nel suo vagare dentro l’Abruzzo montano, o come quella ben più descrittiva di una condizione post bellica, fatta dal 1953 al 1956 da Guido Piovene, ed il loro essere lontanissime e riconosciute, oltre l’indiscutibile valore artistico e di documento, solo nella vicinanza di una possibile amichevole e fraterna tenerezza. Cosa fermerebbe HCB sulla pellicola della sua Leica oggi? Guardando l’Aquila troverebbe ancora le sue donne vestite di nero, portatrici di una impossibile e metafisica luttuosa bellezza? E soprattutto, cosa riconoscerebbe nell’attimo in cui il cuore l’occhio e l’anima si allineano? E Guido Piovene descrivendo Pescara e la promessa che questa sembrava indicare, cosa penserebbe oggi di un territorio che non si ‘addiziona’ più nella crescita, ‘come una città americana’, e che, scrutandola, non sembra indicare una propria vocazione identitaria, oltre le spendibili parole autorefernziali.
Cercheremo allora di educarci ad nuova attenzione, ad una nuova coscienza che ci chiama, impareremo a vedere e a riconoscere quelle cose che apparentemente sembrano sfuggirci, o, come indicava il grande viennese del linguaggio ‘ imparare a vedere ciò che abbiamo davanti agli occhi ‘.
Tutto questo ora, non in un altro tempo mitico .

Parole che abiteranno la città.

“… Quello che sta a cuore al mio Marco Polo è scoprire le ragioni che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che potranno valere al di là di tutte le crisi. Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono i luoghi di scambio come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi. Il mio libro s’apre e si chiude su immagini di città felici, che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici. …”

Italo Calvino, conferenza tenuta presso la Graduate Writing Division. Columbia University.
New York, 29/03/’83



Non cercheremo altre definizioni per un ennesimo luogo fisico da designare. Città Regione è una coppia che non si coniuga con il linguaggio, con gli attrezzi intellettuali di architetti e/o urbanisti, così come, per ora, non è soggetta a indagini sociologiche, ad attenzioni antropologiche, ne’ la sua possibile dimensione economica oggi misureremo, e il suo quadro d’insieme non ci sarà descritto e restituito dalla geografia urbana. E’ un nessun luogo, un ovunque, fisico e mentale, sfuggente. E’ la riproblematizzazione continua della costruzione della nostra presenza e del nostro lasciar tracce.
Ma conseguentemente già sappiamo che quelle competenze evocate, ed altre ancora, e tutto ciò che percepiremo come corredo conoscitivo, presto dovranno misurare un possibile grado, uno standard intorno alle questioni poste, alle parole nuove che la abiteranno, crescervi dentro ed esserne parte fondativa, richiamandoci alla verifica dell’avanzamento.
Diremmo così, che la città regione è qualcosa che esiste già nella mente di alcuni, nei bisogni di altri, nella indifferenza di molti. E’ l’orizzonte di senso su cui ciò che cerchiamo di affermare e costruire dovrà crescere in significato; ma anche una necessità che avanza indipendentemente dalla nostra volontà, e non solo in Abruzzo, così come testimoniano le agenzie di ricerca più attente o narrazioni letterarie che si pongono come esempio evocativo. Seguiremo così l’invito che Italo Calvino indicava a proposito delle Città Invisibili, cercheremo le ‘ragioni ’ che hanno portato gli uomini a insediarsi nelle città, e in quelle, una possibile chiave per estendere le possibilità di accesso e di condivisione, di cittadinanza.
Cose, parole, conoscenze e lavori, esperienze oggi abitano la Città Abruzzo; ed anche saperi, alcuni dei quali cosidetti avanzati, vivono nella quotidianità dell’apprendimento continuo, entro una sorta di conoscenza che ha per oggetto essa stessa, una formidabile ansia conoscitiva che si precisa e si riposiziona continuamente, entro una competizione globale sfuggendo al pericolo di un pensiero celibe; e poi altri saperi più radicati nella memoria del territorio, ma non per questo meno legittimati e nobili, si guardano e si scrutano, avendo a loro modo una concezione dello spazio e del tempo che insistono e misurano velocità e lentezza.
Sono ‘fab’, ‘site’ o ‘plant’ (2) ; ora, in questo frattempo, insistendo in una nuova dimensione geografica e spaziale, cammineranno a ritroso alla ricerca del proprio etimo oltre la lingua anglosassone, incontreranno e cresceranno entro l’esperienza e la memoria che una parola potente e fondativa come ‘locus’, possiede, costruendo insieme a questa nuovi significati E’ la memoria al silicio di Micron Technology, che nella velocità all’accesso ai dati incontra la ragione stessa della propria esistenza, osserverà la attesa di anonimi occhi, persi all’interno di impenetrabili faggete nelle aree protette, il transito di un lupo o di un orso; e, nella contemporaneità di questo farsi, altre anime, occhi, cuori e intelligenze, seguiranno l’errare di quegli stessi animali davanti ad uno schermo LCD di un computer, grazie alla tecnologia GPRS, mentre qualcuno uscito dalle asettiche stanze di Avezzano, raccoglierà zafferano, lì, in quel locus così prossimo all’ultima residenza di Adriano, Imperatore Romano, al suo invito a ‘collaborare con la terra’. E’ il genio del luogo, che costruendo conoscenze definisce il proprio modo di essere nel (del) mondo; è il glocalismo, contrazione delle parole globale e locale, e assolutamente altro da una loro semplice sommatoria, che ci chiede differenti abiti mentali e ci pone al cospetto di possibilità diverse, è la nostra memoria che ne incontra altre. Impareremo a vedere che in questa nuova sensibilità territoriale, esistono aree a forte vocazione verso i saperi avanzati, così come, camminando in questa città, troveremo una concentrazione di industria manifatturiera che risalendo il fondovalle del Sangro, di questo offre una tipizzazione importante, mentre sulla linea di costa, quasi in maniera ossessiva, la città diffusa adriatica diventa il luogo per eccellenza che società di servizi e della finanza, del sapere creativo hanno scelto, riconoscendo nella leggerezza del loro essere e nel radicarsi sulla linea di confine del mare, un luogo privilegiato per di lì partire.
E’ di fatto un territorio sottoposto a sommovimenti continui che trova la propria corrispondenza nella mappe satellitari di Google Maps & Hearts, che in tempo reale ci riconsegnano istantanee di cambiamento, aggiustamenti, una sorta di tellurismo che incessantemente consuma il territorio, lo rimodella.
Lontanissime, ormai nel tempo, la bellezza impossibile dei disegni di una cartografia che, nella ansia di presunta esattezza e precisione, fermava sulla carta, brani di spazio. Torneremo così alle parole, alla ricchezza che queste ci offrono, alla lontananza ed alla prossimità che paiono schiudere, accosteremo ancora ‘plant’ e ‘locus’, e ‘soggettività condivise’ e ‘contemporaneità’, ‘reti’ e ‘cittadinanza’, ‘memoria’ e ‘futuro’ e tutte quelle che, in questo cantiere dell’esistenza, nella perentorietà tipica che le definiscono ci parleranno di bisogni e necessità, riconosceremo e sceglieremo per i saperi e le persone, le fabbriche e chi vi lavora e per tutti gli attori che abitano questo lembo di terra, quelle che meglio ci trasmetteranno l’ansia conoscitiva qui intesa nel senso più ampio possibile, o l’infinito errare, inseguendo una spiegazione ulteriore del nostro stare al mondo.


Della Natura.

42° 46’ nord. Latitudine / 14° 28’ est. Longitudine.

Coordinate geografiche piattaforma Giovanna.
Adriatico centrale. Agip Mineraria.

E’ il mare, altra natura.
42°46’ nord, 14°28’ est; in queste coordinate geografiche, in un punto dell’Adriatico saremo sopra un’altra macchina da pesca che sonda la profondità terrestre appoggiandosi alla sua crosta. Non fa’ della instabilità e della indecisione statica il proprio simbolo caratteristico; è ben piantata nella benché scarsa profondità in una notte piena di maestrale che abbatte le onde, con la sua tesa, caratteristica raffica, e nell’orizzonte terso e buio avvertiremo la presenza di altre anime che ora qui navigano, affaccendate e perse nelle loro tecniche.
Sulla piattaforma, le luci indicano i passaggi, i corrimano ci parlano di percorsi in questa che si presenta come una ennesima città; altro luogo dello stare, con le sue particolarità stabilisce un singolare patto continuo con la natura.
In un sistematico e inusuale pendolarismo è abitata da altri uomini che vi lavorano, che guardano nei colori del mare e del cielo e nell’orizzonte, il cambiamento ed il ripetersi delle stagioni, e in questi ritmi, la loro esistenza. Ora è il nostro punto d’osservazione, e da qui noi, come nomadi contemporanei ne rivendicheremo una possibile residenza, da qui penseremo la costa ed il suo entroterra, li guarderemo e li ascolteremo, in questo assoluto e senza misura silenzio, da questo lembo estremo di un ennesimo luogo possibile. Dinanzi a noi non ancora visibile, la terra, prossima nella infinita teoria delle luci notturne che la costa Teramana, segmento della città diffusa adriatica mostra, e che rimonta oltre l’ambito collinare, verso il Gran Sasso e i monti della Laga. E poi, più a sud, l’intervallo breve del Pescarese, il suo carpire nelle infrastrutture, spazio al mare; ed oltre, ancora oltre, nell’approssimarsi del richiamo forte del Meridione, il mare d’Annunziano e di Michetti, i luoghi del Cenacolo, impensabile senza questa natura, e di essa, straordinaria rappresentazione, e la costa dei trabocchi, e nell’interno, compreso tra il fondovalle del fiume Pescara e del Sangro, i monti della Majella, Madre nella definizione e nella memoria collettiva degli uomini che hanno abitato i ristretti perimetri delle pianure marittime.
Altra acqua alle nostre spalle, ma forse e/o soprattutto altro mare, così prossimo nella spensieratezza delle estati, così distante, tragicamente distante, nella mattanza di giorni ormai andati.

Di tutto questo insieme di territori, di acque interne e pinete affacciate sulla linea di costa ora riserve, così come dei monti e delle faggete, di anfratti e di vette dove lo sguardo si perde nella meraviglia dell’esserne parte, e per noi che qui abitiamo, nei nomi dei luoghi ora mitici e inarrivabili - la Torre di Cerrano o i Ripari di Giobbe, il Molo della Balena e la Pineta d’Annunziana, o ancora, il Ghiacciaio del Calderone nell’Europa il più meridionale, la Valle della Femmina Morta oltre Tavola Rotonda salendo sul Monte Amaro, e sull’altro versante della stessa montagna, la Tavola dei Briganti che ci riporta ad un passato prossimo, e gli Eremi, ed i Tratturi straordinarie infrastrutture di un popolo nomade costruite su una sola tipologia ma capace di edificare bellezza - e, così come nella consuetudine della loro osservazione, la forza di pensarli prima e definirli poi come Parchi, luoghi che nella protezione e nella intangibilità delle qualità peculiari hanno fatto la loro ragione, ora, nuovamente nel tempo, si impone uno sforzo ulteriore per comprendere e progettare come, all’interno di questa invariabilità, un concrescere della economia, così come dell’accesso ai servizi, ai beni, alla cittadinanza elementare, possa divenire realtà, e sfuggire all’idea che questi parchi, aree protette, riserve e altro rimangano un divertimentificio, il luna park ecologico nel cuore verde d’Europa (3). Porsi questa domanda significherà dare ragione a nuclei abitati che nello spopolamento continuo vivono ormai da decenni, e che pure, entro questo declinare hanno pur sempre uomini che lì e non in altri luoghi, richiedono servizi, dove l’età media alta incontra non un orizzonte di esperienze da trasmettere, ma semmai entro queste, una condizione che tramonta nella anonimia della quotidianità. E’ forse il carattere di questo territorio che nella assoluta vicinanza dei sistemi montuosi al mare, trova il proprio inconsapevole destino; come non pensare a quelle persone che, nelle serate terse, da quelle altezze, abitano anche loro ma qui solo con la vista, il mare, e in quello sfavillante luccichio di luci, novelli Ulisse, ne avvertono il fascino ed il richiamo, ma che sovente é trasformato in una promessa di felicità mancata; e nel vedere riconosceremo che esiste un possibile atto fondativo dello stare al mondo, un riconoscersi come parte di un tutto.
E’ certamente un problema di ‘cittadinanza’ nel significato più alto del termine, quello di costruire per gli abitanti delle aree interne protette un sistema di relazioni, di accessi e di possibilità che non sviliscano le straordinarie potenzialità che questi territori hanno; impossibile non intendere come quei Parchi, assumendo oltre il 30% del totale del territorio della regione, ne diventino carattere identitario; progettare ma anche osservare e preservare, saper ascoltarli, riconoscerli come possibili saperi statici, modelli di uno sviluppo che nella immaterialità della conoscenza insieme a forme evolute del lavoro della terra, potrebbe avere una evidente chance; diremo allora che il distretto del Gran Sasso / Laga è, nel ritmo delle stagioni oltre l’immagine oleografica, geologia e fisica, biologia e flora e fauna, é nella cadenza lenta del passo di uno sciatore di fondo, così come nella incommensurabile velocità dei neutrini sparati all’interno del corpo indifeso di questa montagna; comprenderemo che negli estremi di questo intervallo esiste una possibilità di esperienze tutte costruite, ma ancora tutte da costruire. I parchi e con esse il grande sistema delle aree protette, diverranno il luogo per eccellenza dove questa cittàregione potrà se solo lo vorrà, costruire e far vivere un insieme di pratiche affatto usuale, che di slancio superi la modernità ed il folklore, e che ci piace indicare in Vita Veloce e Vita Lenta, ripensandone, nel tempo del postfordismo e della globalizzazione una indicazione di sviluppo e di benessere condiviso, o con una espressione che prendiamo da una recente ricerca di Francesco Morace, e che assumiamo nella proposta, una ‘Società Felice’. Tutto questo ci porta all’atto finale di questo viaggiare dentro la città abruzzo, in un luogo che chiamaremo famiglie.

Famiglie.

“ …ogni uomo è in primo luogo contemporaneo di sé stesso e della sua generazione, ma è anche contemporaneo del gruppo spirituale di cui fa parte (…) perché quegli avi e quegli amici gli sono non ricordo ma presenza.
Essi stanno ritti davanti a lui, più che mai vivi (…) oltre i luoghi, oltre i tempi … ”

Henri Focillon, Vita delle Forme


Nell’allegato di Domus, numero del febbraio 2006, a proposito di cosa avrebbe potuto lasciare in eredità alla città di Torino l’Olimpiade Invernale, un collettivo di artisti piemontesi aveva immaginato di rappresentare questa domanda non con una analisi attenta delle possibilità che lì sembravano prossime, ma al contrario incidendo su un disco, su una memoria, tutte quelle peculiarità che quel territorio, nel tempo, aveva saputo produrre, e grazie ad un vettore fatto partire per un interminabile viaggio nel cosmo; una raccolta di cose e opere, ma anche di dolciumi e progetti architettonici, autovetture e intelligenze che ora, ci piace immaginare perse nell’immensità del tempo. Anche noi vorremo viaggiare a ridosso di una macchina spaziale in quella astratta dimensione dove siamo un nulla e poter raccontare a qualche attento abitante dello spazio, alcune cose peculiari della nostra terra, indicandone origini e fatti che oggi la distinguono, necessità che avanzano, emergenze che la rimodellano.
Penseremo così ad una operazione analoga per indicare cosa, in questa cittàregione oggi si muove, una unica famiglia che ha adottato e fatto crescere al suo interno figli che molte volte non riescono a comunicare facendosi incomprensibili danni, punte di eccellenza che si muovono entro uno spazio geografico ristretto, e che partendo da questo hanno nel tempo avvertito la necessità di tornarci, facendo di un viaggio a ritroso, una straordinaria storia imprenditoriale, la ricostruzione di una vita e in essa, di parole, cose e momenti mitici e irripetibili; Silicon Valley, che rimonta fino alle gole di Fara S. Martino, luogo germinale per eccellenza dell’unire all’acqua di sorgente il grano duro, Telespazio nella Conca del Fucino o l’incessante cercare di quelle parobole telescopiche, così come, la specializzazione delle sue colture, e lì in quell’ agro sottratto alla acqua, ad un mare interno, altri occhi, di migranti in terra di migranti la guardano e la trasformano, in un processo di arricchimento e diritti rivendicati indicandoci due modi differenti di osservare il mondo; e nella nostra storia, altri uomini e donne si alzano e nel loro moto costruiscono le proprie parole, partecipano al loro presente: é lo Sciopero alla Rovescia nelle terre di Loreto Aprutino sul nascere degli anni ’50, momento elementare e tragico allo stesso tempo della esistenza, e di quelle stesse terre oggi nel lavoro e nella tenacia, la assoluta eccellenza di colture, produzioni olearie e vitivinicole, che affondano nel passato una competenza senza tempo, si confonderanno con altre esperienze, per ricostruire una rete identitaria che dovrà mettersi all’ascolto, adottando e catturando le potenzialità inespresse, esaltando quelle già in cammino ed in queste, crescere entro un benessere condiviso che fa di quei saperi, e nell’insegnamento di quella storia la propria proposta progettuale di un modo, che tralasciando la velleità di porsi come modello, costruirà un percorso originale che dovrà essere marchio di questo tempo.
Edificheremo una genealogia, indicheremo in Famiglia intesa nella sua accezione laica e in questa Terra/Spazio una appartenenza ed un cammino necessari all’intraprendere, saremo di nuovo e con più forza soggettività condivise, capitale umano come capitale sociale, rivendicheremo “… possibilità, capacità ed esigenza, tipica degli esseri umani, di interagire, di cooperare, di scambiarsi emozioni ed esperienze, di trasmettere conoscenze, di sentirsi parte di una unica realtà in cui sono rese possibili, o addirittura incoraggiate, la reciprocità e la solidarietà…” (4).
E’ questa Terra, che noi siamo, e non altro.
Tollererà i diversi esponenti di questa famiglia diffusa. Ne assumerà su di sé il carico, il peso della esistenza entro un orizzonte lieve .
Cercheremo la felicità, la abiteremo. Impareremo a sognare sapendo di sognare.

chiusa

“… si tratta di una intelligenza che scaturisce dall’essere in relazione, che si fonda sulla epistemologia dell’ascolto dell’altro, perché egli fa parte del reticolo stesso della conoscenza, lo implica e lo influenza. E dall’ascolto stesso, dall’essere in relazione che il pensiero, attraverso il dialogo inteso in senso maieutico si fa. La verità non è precedente al farsi del linguaggio, alla relazione. E’ nella relazione che emerge la verità (…) Non si tratta solo di fornire competenze operative, ma anche di proporre nuovi modelli epistemologici e cognitivi. …”

Fabio Maria Risolo,
Postfazione a ‘Previsioni e Presentimenti’ di Francesco Morace



Note Bibliografiche
Per questo lavoro ho fatto riferimento ad una serie di testi che qui riporto, alcuni dei quali mi sembrano piattaforme di ricerca tra le più avanzate tra quelle oggi disponibili, a proposito delle trasformazioni territoriali, così come sulla formazione di nuovi concept che sembrano possedere una forte evocazione al futuro.
Alcuni di questi testi sono stati prodotti da colletivi e agenzie che hanno anche un proprio sito e riviste on line che qui indico.


Francesco Morace. Previsioni e Presentimenti. Ed. Sperling & Kupfer, milano 2000
Francesco Morace. Società Felici. Ed. Libri Scheiwiller, milano 2004
Francesco Morace per : www.futureconceptlab.com
www.mindstylemagazine.com
www.geniusloci.com
Collettivo Multiplicity USE. Uncertain State of Europe. Ed Skira, milano 2003
Colettivo Multiplicity www.multiplicity.it
A. Bonomi, A. Abruzzese. La città infinita. Ed. Bruno Mondadori, milano 2004
G. Iacoli Atlante delle derive. Ed Diabasis, bologna 2002

S.Galbiati
G.Giaccardi
M.Perego Mirror, un modello di lavoro nell’economia della conoscenza. Ed. il Mulino, bologna 2005

Peter Handke. Nei colori del Giorno ed. Garzanti, milano 1979
M. Yourcenar. Le memorie di Adriano. ed. Einaudi. torino ?


1) soggettività condivise é una bella affermazione che si costruisce in ragionamento presa dal libro di F. Morace, ‘ Previsioni e Presentimenti’.

2) fab, site, plant, sono parole che si trovano nella interessante ricostruzione fatta da S. Galbiati, G.Giaccardi e M.Perego sulla loro esperienza di lavoro presso Micron Tecnology Italia. Mi sembra interessante pensare quei vocaboli e immaginarli come inabissati entro una parola ben più evocatrice come locus, e in questo loro incontro crescere. ‘… ciò che ci unisce é un abisso…’ E. Montale

3) é una immagine efficace evocata nel libro di Galbiati Giaccardi e Perego sul pericolo che questa regione rischia di correre.

4) ancora dal libro di F. Morace già citato ed al quale ovviamente si rimanda


antonioditeodoro@yahoo.it
spazinomadi@gmail.com